Domenica 11 a Soy Mendel verrà proiettato in anteprima assosulta in film "OMAR" di HANY ABU-ASSAD
Ore 19: aperitivo popolare
Ore 21: inizio proiezione
Omar è un giovane fornaio palestinese abituato a scavalcare il muro della
separazione, schivando proiettili e sorveglianti, per far visita alla
ragazza di cui è innamorato, la liceale Nadia. Con il fratello di Nadia,
Tarek, e un terzo compagno, Amjad, Omar condivide un'amicizia decennale
e un'attività clandestina di addestramento per la causa della
liberazione della Palestina. Caduto prigioniero, dopo aver partecipato
all'uccisione di un soldato, Omar resiste alla tortura e viene invitato a
scegliere tra il carcere a vita o la collaborazione con la polizia
israeliana.
Il regista di Paradise Now
torna in Palestina e gira tra Nablus, Nazareth e Bisan con una troupe
esclusivamente di locali, molti dei quali alla prima esperienza. Eppure
il risultato è solido, il ritmo incalzante, le performances dei quattro
protagonisti (tutti esordienti) non meno che sorprendenti. Il risultato
più alto, in tutti i casi, è la mescolanza riuscita di veridicità delle
immagini e delle storie raccontate con lo spettacolo del ritmo e della
tensione che la regia sa assicurare.
Hany Abu-Assad non giudica, non esalta né demonizza: nel racconto di un
amore confidente e tragico trova tutti gli ingredienti che gli bastano
per assicurarsi un fondo sicuro ed emotivo sul quale innestare elementi
di genere (spie, tradimenti, doppiogiochismo), sempre e comunque
aderenti al contesto e umanamente credibili. La sensazione di trappola
autodistruttiva in cui si ritrova in breve il protagonista è chiaramente
una metafora della situazione palestinese sotto l'occupazione, ma
l'intelligenza del regista sta nel non presentarla come una premessa,
bensì di seguire passo passo l'avvilupparsi su se stesso del destino di
Omar e della sua Giulietta, fino alla scena emblematica in cui scalare
il muro non è più un gioco da "ragazzi", perché certe energie sono state
spente per sempre.
Forse Omar non possiede il miglior finale possibile, ma è
nell'immagine iniziale della barriera divisoria che sta il senso di quel
che racconta per tutti i minuti a venire: i palestinesi sono separati
tra loro (amici, amanti, famigliari) da un atto di forza a cui non hanno
i mezzi per opporsi. Per questo, pur mantenendo la sospensione del
giudizio e mostrando luci e ombre della gioventù che ritrae, la
posizione di Abu-Assad è meno imperscrutabile rispetto a quanto accadeva
in Paradise Now e il film ne guadagna, apparendo meno mirato a dividere e più interessato a raccontare.